Uomini e caporali
"Il ragazzo è morto, in un modo o nell'altro è morto, e questo le basta per andare a trovarlo. per passare delle ore accanto alla sua tomba, in silenzio, accarezzare il marmo, risistemare i fiori e le zolle, incrociare le dita nodose, fissare la terra intorno. Come se la sofferenza, tutta la sofferenza, dimenticata, non raccontata, si fosse concentrata in quel punto preciso del camposanto, poco fuori dal paese, formando una miscela densa e pronta a esplodere. Incoronata avverte la pressione dei torti senza trovare le parole per esprimerla. E allora resta immobile, curva nel solito scialle, a guardare il marmo. Il ragazzo è lì, e lei, solo lei, se ne prende cura. Lei sa che il ragazzo non ha colpe, se non quelle dettate dall'ingenuità dei forestieri".
Inizia con la storia commovente di Incoronata Di Nunno, una donna di 75 anni di Orta Nova, un libro appena uscito per i tipi della Mondadori, "Uomini e caporali", di Alessandro Leogrande. Incoronata ha "adottato" i resti di un ragazzo polacco "ignoto", morto schiacciato non si sa come, forse in maniera non casuale. Ha visto quella croce di ferro con scritto ignoto, e ha cominciato a renderle visita. Ha investito i suoi risparmi per costruire all'ignoto ragazzo una tomba degna, di marmo. E la cura, come se si trattasse d'un figlio. Anche perché in qualche parte del mondo - dice lei - una madre disperata cerca un figlio scomparso.
Il libro di Leogrande mette le mani nella carne della nostra terra. Nello sfruttamento endemico, prima dei nostri braccianti, ora di quelli che vengono da lontano, che è alla base dell'economia della nostra terra. Sempre più, la Capitanata sta diventando (o sta tornando a essere) la terra degli schiavi nell'immaginario collettivo. E non servono operazioni d'immagine per risalire la china, ma una forte azione sociale per rilanciare quegli anticorpi democratici che hanno espresso grandi uomini come Giuseppe Di Vittorio.