Aung San Suu Kyi, in Europa la grande festa dell'ipocrisia
Oh quanto siamo buoni noi europei e occidentali! La povera Aung San Suu Kyi, leader democratica e nonviolenta birmana detenuta da 13 anni da una giunta militare golpista e assassina, torna in un carcere di sicurezza dopo anni di totale isolamento agli arresti domiciliari. E i nostri politici si mobilitano, si strappano le vesti. I nostri diplomatici protestano. E qualche first lady esprime il suo sdegno.
E' il caso di Carla Bruni, consorte del presidente francese Nicolas Sarkozy. Oggi u' Scazzamurrill' legge da Repubblica che Bruni ha affermato di trovare "intollerabile la sorte riservata a questa donna". Giusto. Speriamo che oltre a scrivere una lettera aperta, Bruni trovi il tempo di comunicare questo pensiero anche al marito, Nicolas, perché s'attivi affinché certe aziende transalpine la finiscano di "fare affari" - come scrive Federico Rampini - col regime fascista birmano.
Perché basta andare sui siti dell'opposizione birmana per scoprire che una delle più grandi compagnie petrolifere francesi, che è anche una delle quattro più grandi al mondo, opera in Myanmar nonostante pseudo embarghi di facciata. Si tratta della Total. Il punto è: se si decide di fare un embargo (e lo si deve fare), si devono trarre tutte le conseguenze. Senza ipocrisie.
Peraltro, se c'è un settore in cui è possibile colpire al cuore il regime è quello petrolifero. L'embargo non può essere solo europeo. Un ritiro degli europei potrebbe voler dire semplicemente un arrivo di altri, come sta accadendo per le compagnie sudcoreane. L'Europa, se vuol fare sul serio, deve fare un discorso a tutti quelli che investono in quel paese: o partecipate l'embargo, o lo ritorciamo anche contro di voi. Visto che si tratta di paesi molto orientati all'export (vedi appunto la Corea del Sud), in un momento di crisi come questo probabilmente ci penserebbero due volte prima di ricevere un danno sul mercato più ricco del mondo. Il nostro.
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